La prospettiva di “produrre il vino della casa con i carati dei boschi di casa” appare intrigante.

L’aforisma è del professor Raffaello Giannini, a lungo docente di Selvicoltura e Genetica forestale presso le Università di Bari e Firenze e socio emerito dell’Accademia dei Georgofili. E proprio nella sede dell’Accademia, a Firenze lo scorso lunedì 25 gennaio, il professore ha presentato “Il vino nel legno”, recente pubblicazione a sua cura basata su un lavoro di ricerca a più mani condotto nei comuni del Chianti Classico. Qui le zone boschive sono estese: perché non valorizzarle sfruttandone meglio il legno, e magari proprio per le botti? Fate attenzione: girando per il territorio di boschi ne potete vedere tanti, e sono pure belli. Il fatto che possiate percorrere lunghi tratti a cavallo o in mountain bike lontano dai vigneti la dice lunga.

Le cifre d’altra parte sono eloquenti: la DOCG si estende per 70.000 ettari, ma le vigne ne coprono solo un settimo; pur considerando gli oliveti (anch’essi sui 10.000 ettari), i fabbricati e le strade, la preponderanza del bosco nel paesaggio è evidente. Vero è che questo bosco è costituito per la maggior parte da roverelle, che pur appartenendo al genere quercus hanno dimensioni e forma tali da renderne improbabile uno sfruttamento sistematico per il nostro scopo, basta guardarle. Ma i castagni sono un’altra cosa: presenti in tutte le regioni italiane, hanno fornito per secoli frutti e fustame, sostenendo intere comunità; in campo vinicolo li troviamo ancora sotto forma di pali di sostegno ai filari. Il progressivo abbandono di questo legno da parte dei bottai è stato invece giustificato, almeno da punto di vista gustativo, dall’esuberanza di tannini che lo caratterizza (da cui l’uso in conceria). Eppure lo sappiamo, le mode vanno e vengono: ed ecco dalla Sicilia la resurrezione del Rosso del Conte prima maniera, cioè affinato in castagno, nell’edizione limitata della Riserva 2010 di Tasca d’Almerita. Del resto, come ha sottolineato ai Georgofili il giornalista Paolo Valdastri nel suo intervento sul ruolo del contenitore nella comunicazione vinicola, il momento sembra favorevole ai materiali alternativi, dalla terracotta al cocciopesto.

Il libro del professor Giannini esplora scenari possibili e calcola ritorni economici partendo dalla mappatura dell’esistente, con un’attenzione quasi archeologica al passato. Ci racconta che i ricercatori se ne sono andati in giro per aziende come Nittardi, Coltibuono, Volpaia, Brolio, Fonterutoli e Lilliano, scovando vecchie botti e confrontandone il DNA con quello degli alberi del territorio: i riscontri sono positivi. Il gruppo ha lavorato con l’ottimismo del “PROVACI”, il Progetto di Valorizzazione della produzione legnosa dei boschi del Chianti portato avanti dalla Fondazione per il Clima e la Sostenibilità. La valorizzazione avrà bisogno comunque di attenta gestione, dato che in questo habitat si segnala una strabordante presenza di certi abitanti a quattro zampe non esattamente graditi ai vignaioli…

Intanto abbiamo già un po’ di vino a maturare in carati di castagno dei Monti del Chianti, come ci hanno raccontato ai Georgofili due produttori coinvolti, Giovanni Cappellini di Verrazzano e Francesco Rossi da Manciano in Maremma. Nell’illustrare i risultati organolettici sono stati per la verità un po’ timidi, in altre parole ci hanno lasciato la curiosità: andremo ad assaggiare.

Autore: Alessandro Bosticco
Fonte WineSurf.it